sabato 1 aprile 2006

Pablo Villagomez e Pablo Gozalves "paesaggio interiore"

Pablo Gozalves
Nella pittura di Pablo Gozalves si può rintracciare
l’origine storica di quella corrente della grande pittura
quattrocentesca italiana, da Sandro Botticelli e Filippino
Lippi, ma anche di alcune tendenze della figuratività
fiamminga posteriore.
Rembrandt innnazi tutto: il Rembrandt incisore,
non l’artista che inonda la tela di colore, ma quello che
taglia e tormenta la materia per estrarne impercettibili
residui di luce pura. Esuberante di materia scavata
dagli “avatares” della linea sono già, in questo senso,
le prove, i bozzetti, i disegni, le matericissime maquetas
di Gozalves, che preludono ai suoi dipinti “maturi”.
In Gozalves come negli artisti della “precision” europea
(Schiele, senz’altro, ma anche, per altri versi, Bacon
e Freud), la ricerca del colore resta tuttavia inelusa.
La pittura deve perseguire il colore, lo deve assillare:
il colore è il bersaglio da cui gli strumenti del pittore
non possono distogliersi.
Gozalves è latore di un’altra passione. È la passione
della linea, che può solo essere tentativo, ricerca,
amorevole interrogazione, e che induce lo spettatore
di ogni figura, di ogni ritratto, a una ponderazione
misteriosa. Il lavoro infaticabile della linea propone
domande a cui l’arte della pittura non può fornire
risposta certa. Com’è possibile che le immagini
interrogate dalla linea non “pongan el grito en el cielo”
– non esplodano in carneficine di colore – dal deserto
in cui l’artista le trova “esiliate”?
Claudio Cinti

Pablo Villagomez
“presenza come assenza”
“Non è la stessa cosa schermo o riflesso” afferma Pablo.
“Quando ho iniziato questo lavoro, pensavo che il
riflesso di un televisore potesse mostrare solo
l’immagine trasmessa sullo schermo”.
Una volta presi i pennelli, l’artista non riuscì a formare
una sola immagine con entrambi i concetti “perchè
riflesso e schermo non sono la stessa cosa”.
“Come spiega questa affermazione?” In questi schermi
televisivi appaiono scene di “Nosferatu” o “Il cavaliere
senza testa”, film visti più volte dall’artista, così ha scelto
scene specifiche riassuntive.
...il film
Da questa immagine nasce il secondo discorso.
Si riconoscono gli inquilini della casa dove è acceso il
televisore. Si vede la sala con una famiglia riunita
attorno all’apparecchio e si riconosce anche Pablo in
adorazione. Da notare come in questa seconda fase
sembri un riflesso dello schermo.
Un terzo discorso sorge nel momento in cui lo spettatore
affronta l’opera; siamo noi che fissiamo l’ultimo sguardo
generato chiaramente da quel primo momento in cui
l’artista si trovava vicino al televisore e davanti
alla tela bianca. Le televisioni di Villagomez, elaborate
inizialmente come semplici oggetti di uso quotidiano,
ci appaiono come quattro rappresentazioni quasi
sovrapposte. Pablo spiega come inizialmente
voleva l’oggetto nella sua totalità, perciò lo ricrea
con le pennellate.
Ciò nonostante quando ha dovuto dipingere lo schermo
si è trovato con frammenti simultanei di una realtà
difficile da inquadrare

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